L'arte della delocalizzazione, il Centre Pompidou arriva a Shanghai La collezione surrealista del famoso museo d'arte moderna parigino, in mostra nella megalopoli cinese fino al 15 marzo. Un affare per le sue casse in debito d'ossigeno


Una sala del Power Station Shanghai of Art
una  sala del Power Station Shanghai of Art

A tre anni dal grande successo internazionale dell'Expo internazionale, Shanghai rilancia ospitando fino al 15 marzo una ampia e importante fetta della collezione d'arte del Pompidou di Parigi nella nuova Power Station Shanghai of Art, una ex centrale elettrica di 41.200 metri quadrati (che fu ristrutturata proprio in occasione dell'Expo del 2010); un cantiere dell'arte che aspira a diventare il centro nevralgico della vita culturale della metropoli cinese. E non solo. Con il titolo "Campi elettrici. Surrealismo e oltre" la prima mostra made in France a conquistare l'attenzione del pubblico di Shanghai è un'indagine sull'influenza del surrealismo nell'arte contemporanea. In un lungo itinerario che va dal celeberrimo orinatoio di Duchamp alle sculture enigmatiche e poetiche di Chen Zhen, l'artista cinese prematuramente scomparso nel 2000. «Abbiamo impiegato un intero anno per organizzare e allestire questa mostra. Ed è stato un vero e proprio record - ha scritto in una nota Alain Seban, presidente del Centre Pompidou -. Avevamo abbandonato il mercato cinese nel 2007, pensando che il progetto di una "filiale" per Shanghai fosse un'impresa irrealizzabile. Questa volta, abbiamo avuto tutte le garanzie necessarie per quanto riguarda la fattibilità dell'impresa». E se le autorità cinesi (quanto mai pragmatiche quando si tratta di affari) hanno capito che agevolare l'impresa avrebbe portato un ritorno di immagine e un indotto turistico considerevole, il Centre Pompidou non è da meno. «Per noi questa avventura è soprattutto una manna finanziaria» ammette Seban, che non ha voluto rivelare quanto sia costata ai cinesi questa mostra che ripercorrendo la storia del Surrealismo dai suoi esordi con Breton Duchamp, Ray e Co. nella Parigi degli anni Trenta ad oggi, abbraccia più di un secolo di storia dell'arte occidentale. «In Cina fino a una ventina di anni fa non c'era una tradizione di mostre di arte contemporanea. I curatori, le maestranze cinesi che hanno collaborato alla realizzazione di questo evento» hanno anche avuto modo di acquisire il know how, è avvenuto un trasferimento di competenze, sottolinea Seban. Intanto la corsa del Centre Pompidou alla "delocalizzazione" delle proprie collezioni non si ferma. E già la direzione del prestigioso museo del contemporaneo sta vagliando possibilità di partnership con il Brasile, Argentina e Messico. «Dobbiamo andare anche in altri territori. Abbiamo bisogno di sapere cosa sta accadendo altrove - conclude Seban -. La nostra forza è la nostra rete. Ci permette di rimanere competitivi. Shanghai è solo il primo passo di una nuova avventura».
Eleonor Purring

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