Il riflesso: sguardi sui ritratti d’autore e percezione del corpo



Abstract
The reflexs of Bodies is the focus psycological determination of ourselves. In case of the research in the first scientist on person ability of trasformation and simulation of the Photography, the specular entertainment become the first time characterizice of Bodies. At the first progressive powering of Middle Class, the processing of representation in portrait, change the symbols and the movements of Bodies,  processing the awareness of Self perception. In essays of scientist like Kohut and before Jung the script shows the evolution of photography on psycho social sphere.


La percezione del mondo include la propria raffigurazione sia onirica che materiale ed è fortemente presente come termine di paragone sulla realtà nelle prime manifestazioni della camera oscura. E’ notorio che nelle generazioni precedenti la comparsa della fotografia, la percezione della propria persona, soffriva lacune dovute all’ interpretazione dell’esecutore/pittore o del mezzo cui si attribuiva la responsabilità estetica, vedi le incisioni. Oppure il senso del “Sè” si fermava alla visione strumentale di uno specchio che rifletteva per un’istante quell’immagine. La cattura di tale immagine con la procedura fotografica, la possibilità di non esaurire quella porzione di sé in uno sguardo fugace, ha provocato una crisi sociale e psicologica collettiva. La percezione del “Sè” nel mondo ha un radicamento nelle teorie freudiane delle pulsioni interiori fino a Heinz Kohut (1913-1981) che definisce i termini della crescita personale e la sua definizione rispetto alla necessità dell’individuo di interagire con l’ambiente attraverso gli oggetti che lo circondano; questo dà vita all’ ”Oggetto-Sé”, che definisce la comprensione e i parametri dell’individuo e di ciò che lo circonda[1] . La fotografia interagisce in questo processo come un mediatore e un catalizzatore di consuetudini legate alla definizione della propria persona/personalità. Nei gruppi umani vediamo lo stesso processo: il meccanismo emozionale dunque è paragonabile alla gestione del “Sé” come presenza nel mondo. Esso agisce come elemento di “Transfert” speculare e idealizzante consentendo una seconda possibilità di sviluppo. La propria immagine scolpita in un supporto fermo, cristallizza una parte di noi, quella che a nostro giudizio è quella che maggiormente ci rappresenta quella di cui vorremmo fosse fermato il ricordo. Nel 1851 il neurologo Duchenne commissiona al fratello di Nadar, una serie di fotografie dei pazienti del manicomio parigino, che poi inserirà nel saggio Mechanisme de la phisionomie humaine, del 1862[2]. La fotografia dunque documenta ed accerta in sede legale uno stato di fatto. Non viene percepita la possibilità di interpretazione dell’immagine da parte dell’autore, ma, essendo un mezzo meccanico, viene considerato un mezzo privo della facoltà di interpretazione. Nelle fotografie familiari della fine del XIX secolo il fotografo è già conscio della propria facoltà interpretativa e crea il suo tableau vivant e il suo studio. Ma le implicazioni pratiche della sua azione sono del tutto accessorie alla sua interpretazione/azione. Nella regia del passaggio dall’immagine fotografata a quella sul supporto cartaceo, la propria coscienza subisce la consapevolezza dell’evoluzione. L’influenza che ebbe la nuova concezione della propria immagine sulle arti fu rivoluzionaria. Era giunto il momento di rappresentare il fattore umano oltre la “facciata”, il segno tangibile dell’essenza della propria persona, aveva superato la barriera della fisicità.
                    

                                                Alice Austen, The Darned club, 1891
In quegli anni vengono prodotti alcuni studi riguardanti l’arte; nel 1862 Disdéri scrive L’art de la photographie, e Mayer e Pierson scrivono La photographie considereè comme art et comme industrie, a sottolineare la possibilità che la fotografia poteva e allo stesso tempo non poteva, avere un valore artistico. Secondo Baudelaire la fotografia non trascende qualche forma di narcisismo, il culto del corpo, come il mito della modernità e del progresso, ma al contrario si apre alla visione dell’ ”altro”. Fanno allora la loro parte quelle raccolte di documentazione sui pazienti dei manicomi e degli ospedali, nei quali la considerazione di ineccepibile verità e documento inoppugnabile, costituito dalla fotografia, conclude la ricerca scientifica dal punto di vista del medico e dello psichiatra in cerca di pazienti. La mostruosità divenuta malattia e documento nella deformazione del corpo del malato o del corpo morto di un pregiudicato, ne fa un elemento statico e discriminatorio nei confronti di chi nel momento dello scatto aveva un aspetto diverso, un elemento rassicurante, borghese elettivo. La fatuità del momento è la riappropriazione dell’equilibrio borghese del sapiente, che ambisce alla certezza del proprio status sociale. Arnheim ci avverte nel non prendere un punto di vista troppo esclusivo nella fotografia[3]; un punto di vista particolare lo prende la visione pornografica del corpo, non casuale, immaginaria e creativa, con una tradizione pittorica notevole alle spalle. Schiava delle precedenti versioni figurative, si avvale nei primi tempi della versione mitologica per poi andare verso un’approccio più aggiornato e privo di versioni mitiche. Uno dei primi fotografi di nudi , il barone Wilhelm von Gloeden, nasce a Wismar e nel 1856 si reca in Italia, si occupa inizialmente di vedute pastorali secondo il gusto della fine dell’Ottocento, seguendo i temi idillici del mito della Grecia antica. In Italia arriva per aver contratto la tubercolosi e si reca in Sicilia a Taormina dove apre uno studio fotografico. I suoi modelli, giovani siciliani, ripercorrono nelle sue foto, un’ideale di bellezza mediterranea, che lascia intravedere le preferenze sessuali del fotografo[4].

                                             Wilhelm Van Gloeden, Terra del fuoco, 340 x 400 mm ; stampa ai sali d’argento
La riuscita della composizione fotografica in questo genere è dato dall’enfatizzazione della posa? Dal Modernismo alla democratizzazione della diffusione dell’immagine, la pornografia si pone come mezzo ulteriore per la diffusione di una immagine in visibilità totale. La figura maschile è spesso assente nella pornografia, a favore di quella femminile. La presenza del nudo è comunque vista anche sotto altre vesti. E’ di quegli anni intorno al 1880, la nascita del concetto di “cultura fisica” vista come esercizio ginnico del corpo in movimento, una visione salutista della gestione del corpo. Fu Desbonnet che utilizzò la fotografia del corpo “prima e dopo “come pubblicità dell’esercizio ginnico eseguito nelle palestre con una serie di fotografie dove alcuni energumeni nudi venivano esposti come trofei seguendo regole estetiche di tipo classico, ispirato alla statuaria antica. Del nudo soprattutto femminile, fece un gran uso il movimento Pittorialista in fotografia che si avvalse di velature e chiaroscuri, con forti ritocchi nelle immagini, al fine di avvicinare l’immagine fotografata a quella dipinta, con accorgimenti che imitavano la bellezza del tocco del pennello. Di questo avviso sono alcune fotografe come Alice Boughton con la sua fotografia intitolata Nudi di ragazze è alla ricerca dell’effetto sfumato e di un virtuosismo compositivo che lasciapercepire sensualità e armonia lineare[5].In questo caso la figura femminile diviene nel Pittorialismo un elemento centrale di sensualità e di passaggio di sguardi e gesti, un elemento che unisce le qualità estetiche del corpo femminile a quelle dell’assoluta autonomia dell’immagine fotografica.                      

                                              
      
                                                 Alice Boughton, Nudi di ragazze, 1909                                      
Si arriverà nella fotografia al femminile a descrivere il proprio corpo come Anne Brigman (1869-1959), una libera pensatrice, che esegue alcune foto con se stessa come soggetto in una serie di fotografie tra il 1903 e il 1913, all’interno di paesaggi naturali esuberanti e selvaggi, coniugando il ritorno alla natura con l’estetica del corpo umano, facendo eco a quei movimenti che ebbero grande successo nel mondo anglosassone, di nudisti e naturisti che iniziavano in quegli anni il loro percorso politico[6]. E’ negli anni intorno al 1880 che la disputa fra fotografia e incisione si fa più stringente. Il rapporto con l’arte grafica con la fotografia è ravvisabile fin dall’inizio, la derivazione dalla stampa è innegabile, il procedimento dello sviluppo fotografico è un passo in avanti rispetto alla stampa grafica. Dalle rivendicazioni a partecipare alla vita artistica dei fotografi, nasce la Society of Painters and Etchers, fondata da James A. McNeil Whistler e da Francis S. Hayden. E’ in questo ambiente che le fotografie artistiche e il nudo prendono le misure per le loro performances successive. Il mondo dell’arte si era aperto alla nuova tecnica con le sue innumerevoli possibilità. Una nuova vertigine nelle scoperte sulle possibilità tecniche della fotografia che sfociò nella creazione della società mista fra incisori e fotografi, che doveva dare luogo alla nuova consapevolezza nell’arte di un’immagine che non necessariamente era dovuto al segno o al gesto, ma dal solo elemento della luce, catturato e sviluppato su superfici sensibili. Dunque l’interesse si spostava dalla manualità del lavoro a quella della documentazione, della sua unicità. E’ in questo frangente che la fotografia riprende un senso a sua volta, una consapevolezza, una dedica di attenzione alla sua presenza reale nella scena artistica








                                                         Anne Brigman, The Cricket’s Song, 1908
Come nei modelli che avevano acquisito una nuova consapevolezza del Sé, anche la tecnica trova un posto nelle categorie artistiche e si riconosce in quel posto nella comunità artistica che le era stato precedentemente negato[7]. Non si può negare che la sua presenza nell’arte successiva fu di grande importanza, tale da spostare anche alcuni parametri estetici e da rappresentare il fulcro della sperimentazione artistica, una sorta di mezzo di verifica per nuove frontiere delle immagini. E’ infatti nella sperimentazione di Degas che troviamo la conferma della direzione intrapresa dalla tecnica fotografica a cavallo fra Ottocento e Novecento. Dopo gli esperimenti dell’artista sulle fotografie in sequenza della danzatrice che balla e del cavallo in corsa, il suo modo di dipingere non fu più lo stesso. Dalla prima grande esposizione del 1891 del Camera Club di Vienna nasce la ricerca del “Gruppo di New York”, formato da Alfred Stieglitz, Steichen, John Bullock, Gertrude Kaesebier, Clarence White, che aveva fatto dell’attenzione alla forma ed alla sua autonomia una propria specifica caratteristica, introducendo le ricerche per un percorso del tutto autonomo della fotografia non più sovrapponibile a quello a quello della pittura[8]. Nella pittura si andava tuttavia formando una progressiva distanza dalla forma con esperimenti come il Cubismo e le Avanguardie e dava in questo senso una continuità alla sua esistenza come interpretazione estrema della realtà. La fotografia tuttavia si avviava a percorrere la stessa strada delle Avanguardie, traducendo la sua vitale possibilità di cambiare l’inquadratura, la luce e la posizione successiva di un oggetto, in una progressiva frammentazione della centralità dell’immagine, con inquadrature deformate e asimmetrie prospettiche, evitando progressivamente l’armonia estetica della composizione, alla ricerca di nuovi equilibri armonici, fatti in qualche caso di conflitti fra forme, sentimenti e idee. Negli Stati Uniti abbiamo la maggiore rivoluzione nella trasmissione della forma fotografata, una libera coscienza che si dedica alla rappresentazione di nuove ideologie quali il Femminismo, in una cultura liberale diffusa che vede anche una grande libertà nei costumi e nell’uso del corpo. La “Photo Secession” animata da Stieglitz in America è fra i movimenti più vivaci dove la fotografia ha il suo ruolo di primo piano, di unione fra il “prima” e il “dopo” di una consapevolezza delle proprie possibilità espressive che solo in quell’ambiente libero da legami culturali ancestrali quali erano presenti in Europa,  potevano attuare, sperimentare e valutare nuove tendenze della forma e dell’immagine. Con il “Gruppo di New York” si aprirono nuove strade alla figuratività artistica ed all’immagine fotografica. Concorse al rinnovamento anche una nuova tecnologia che fornì apparecchi fotografici, più piccoli e portatili che consentivano avventure visive di nuova concezione. La forma diviene a fuoco, perfetta il contrario del Pittorialismo precedente, alla ricerca di una iper – realtà tecnicamente ineccepibile. A questo tipo di approccio all’immagine viene collegato il movimento Modernista, che in pittura vede i suoi primi rappresentanti nel 1910-13 sulla scia dei Cubisti come Braque e Picasso, alla ricerca di quella scomposizione dell’immagine spazio-temporale della quale risentiranno anche i Futuristi.
                       

                                             Alfred Stieglitz, The Steerage, 1907, Photograveur
L’esposizione dal titolo “Armory Show” del 1913 porta negli Stati Uniti le novità dell’Europa e Stieglitz in contemporanea nella Galleria 291 di New York espone le sue fotografie fra le quali “The Steerage” che mostra la disgregazione di una folla che si imbarca sul ponte di una nave, evidenziando il punto di vista del passeggero di prima classe rispetto alla massa delle classi inferiori. Una fotografia dunque che documenta che spoglia di ogni estetismo l’immagine, riportando brutalmente alla realtà. Uno sguardo sociale in evidenza si identifica in tutte le fotografie esposte il 1913 alla Galleria di Stieglitz, che concorre a denunciare la povertà della classe operaia americana[9]. Nel 1914 Stieglitz pubblica un resoconto dell’attività della Galleria 291 intitolata “What’s in 291?” dove concentrò l’essenza esperienziale della ricerca formale condotta negli anni di attività, rivelando alcuni principi fondamentali quali la mancanza di precetti e la totale libertà di azione cui aveva cercato di condurre gli artisti che promuoveva[10]. Nel 1917 Stieglitz chiuderà la galleria e la rivista Camera work, ma ormai aveva gettato una sfida che fu presto raccolta da Francis Picabia che proprio quell’anno fondò a Barcellona “The Magazine 391” ispirandosi all’esperienza newyorchese. Successivamente poi Stieglitz dovette altre sfide legate al corpo e all’immagine; una serie di ritratti particolari di Giorgia O’Keef che prediligeva le inquadrature con frammenti di corpi, porzioni di nudo che venivano così “spersonalizzati” e recepiti come linee compositive pure. Tornando alla gestione del “Sé”, la donna o l’uomo persero la loro identità nell’immagine fotografica; erano corpi, linee, ombre di qualcosa che a volte poteva essere ricostruito, attraverso i suggerimenti delle parti di corpo identificabili, ma altre volte risultava una porzione asimmetrica non identificabile. La stessa O’Keef si prestò come modella, “tagliando” il proprio corpo in composizioni inaspettate e in porzioni di vuoti e pieni totalmente irriconoscibili. Edward Weston (1886-1958) conobbe Stieglitz nel 1921 e insieme si avventurarono alla ricerca di forme inedite dei corpi nudi ancora da scoprire. Un’attività che avrebbe portato all’Astrattismo e alla gestione della fotografia come tecnica artistica “pura”. Weston visse fino al 1958 e la sua ricerca sulla forma dei corpi si rivolse anche a tutto ciò che suggeriva corpi umani, radici, bulbi, in un percorso che affrontò una visione gerarchica dei corpi nella veduta fotografica, cercando di abbatterla con la sperimentazione visiva[11].
                                
                                 
    

Bibliografia

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[1] Heinz Kohut,The search of the Self ,Selected Writings of Heinz Kohut 1950-1978, New York, 1979; Carl Gustav Jung, Energetica psichica, Torino, 1980
[2] G.B., Duchenne (de Boulogne), Mechanisme de la phisionomie humaine,Paris, 1862
[3] Vedi Rudolf Arnheim, Simboli artistici: freudiani ed altri,in, Verso una psicologia dell’arte,Torino,1969,pp.263
[4] vedi  Diego Mormorio, La lunga vacanza del barone von Gloeden, Roma, 2002, e, Mario Bolognari, I ragazzi di von Gloeden. Poetiche omosessuali e rappresentazioni dell’erotismo siciliano tra Ottocento e Novecento, Reggio Calabria, 2013
[5] vedi A. Rouillè e B. Marbot, Le Corps et son image; photographies du XIX siécle, Paris, 1986
[6] vedi Carol Glauber, Songs of a pagan:a study of Anne Brigman’s Poetry,in, Photo Review, Spring, 2000
[7] vedi Aaron Scharf, Arte e fotografia, Torino, 1979; pag. 19
[8] vedi American Pictorial Photography; : seriesI (1899) e Series II (1901);  e Mary Fanton Roberts [Giles Edgerton], Photography as an emotional art: A study of the work of Gertrude Kaesebier, in Craftsman 12, (April 1907), p. 88
[9] vedi, Jay Bochner, An American Lens: Scenes from Alfred Stieglitz’s New York Secession, Cambridge, 2005, e Weston Naef, The collection of Alfred Stieglitz – Fifty Pioneers of Modern Photography, New York, 1978
[10] vedi, Katherine Hoffman, Alfred Stiegelitz : a legacy of light, London, 2011
[11] vedi, Paolo Costantini, Edward Weston, Firenze, 1990, e , Tina Modotti, Vita arte e rivoluzione: lettere a Edward Weston,1922-1931, Milano 1994

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