FIRENZE - Montanari: la città location è solo un modo di prostituirsi MARIA CRISTINA CARRATÙ MARTEDÌ, 16 APRILE 2013 LA REPUBBLICA - Firenze




L’intervista/1

Lo storico dell’arte: “Basta vendersi al migliore offerente, così rinunciamo alla dignità”



«FIRENZE non può essere di chi se la piglia con i soldi». Tomaso Montanari, storico dell’arte, voce fra le più coraggiose, negli ultimi anni, nel denunciare l’utilizzo privatistico dei beni culturali in Italia, non ha dubbi: che ci sia un magnate pronto a versare qualche centinaia di migliaia di euro a un Comune, «non autorizza a dimenticare la Costituzione».
In che senso, professor Montanari?
«Visto che la nostra Carta considera la tutela materiale dei beni culturali tutt’uno con la loro tutela morale, è evidente che il venire meno della prima costituisce un pericolo anche per la seconda. E la tutela non si deve al fatto che i monumenti sono belli, ma al fatto che ci rendono cittadini e soprattutto uguali fra noi. Il patrimonio deve produrre conoscenza e dunque democrazia, non soldi e dunque diseguaglianza. Oggi, in Italia, sembra che non ci si vergogni più a cedere per denaro quello che si è ereditato dalla nostra storia».
È un fatto, però, che di questi tempi mettere a frutto, in qualche modo, un bene culturale, rappresenta per un Comune con bilancio in rosso un’occasione molto ghiotta.
«Sarebbe come dire che una famiglia in difficoltà economica, per mantenersi, non dovrebbe farsi sfuggire l’occasione di far prostituire le figlie…Considerare Firenze una location per le feste esclusive dei ricchi, e non una città, significa rinunciare alla nostra dignità. Il benessere materiale non è mai separabile dalla dignità. Bisognerebbe tenere presente Cicerone, che, nell’accusare il corrotto Verre di essersi appropriato dei tesori artistici della Sicilia, giudica in realtà più grave (summa turpitudo) la colpa non di chi li ha rubati, ma delle città siciliane che hanno venduto a poco prezzo ciò che avevano ereditato dagli antenati».
Resta che i soldi imprevisti nelle casse del Comune produrranno pure qualche utilità pubblica, di cui tutti potranno avvalersi.
«E chi l’ha detto? Finiranno, come sempre, nel calderone del bilancio e se ne perderanno le tracce. Il problema in Italia non è che non ci siano soldi, ma che non li si sap-
pia usare. Solo recuperando il 2,5% dell’evasione fiscale annua si otterrebbero 5 miliardi, sufficienti a garantire la completa tutela dei beni culturali, a fronte del misero miliardo e mezzo di cui si dispone oggi, la metà della media della spesa europea in questo campo».
A parte rinunciare, in futuro, alle prebende di magnati stranieri, ha qualche altro suggerimento per il Comune di Firenze?
«Quello di darsi un progetto di funzione civile e di governo del suo patrimonio, senza restare sempre vittima dell’emergenza e essere costretta a vendersi al migliore offerente. Insomma, senza trasformarsi in agenzia di osti e albergatori. A meno di non voler diventare coma Venezia, ridotta a tal punto a location da aver espulso i suoi stessi residenti, rimasti in 60 mila a reggere il peso di 50 mila turisti».

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